Il corno napoletano
Quando viaggio uno dei momenti più complicati è quello di scegliere dei ricordi da portare a casa: stanno sparendo un po’ dappertutto le attività artigianali, siamo circondati di calamite anonime e quindi spesso ripiego su qualche aroma che mi ricordi i luoghi visitati.
Però, a Napoli il souvenir tipico resiste ancora. E soprattutto è qualcosa che continuiamo a usare anche noi Napoletani: ‘o curniciello, il cornetto portafortuna!
Io ne indosso due di corallo insieme alla mia licenza e ne ho uno in terracotta su una mensola della libreria, regalo dei miei genitori quando entrai nella mia nuova casa…
Ma quali sono le sue origini e quali caratteristiche deve possedere (qui le regole sono “rigide” come per il caffè!…)?
Spesso viene scambiato per un peperoncino: nulla di più lontano!
Il corno è stato adottato con lo sviluppo del Cristianesimo quando diventò scandaloso avere oggetti decorativi e portafortuna di chiara forma fallica e, quindi, portatori di fertilità e abbondanza.
Così la forma fallica è diventata più “vaga”, e si è potuto continuare a possedere un amuleto molto diffuso.
Le caratteristiche sono tre: “tuosto, stuorto e cu ‘a ponta”, cioè duro, storto ed appuntito. Deve essere artigianale, rosso e regalato e non finisce qui, perché il corno va… collaudato!
Deve essere rigorosamente realizzato a mano (quelli di plastica non guardateli nemmeno…) per nutrirsi delle energie positive di chi lo realizza; dopo di che la punta va strofinata sulla mano di chi lo riceve e se si rompe… vuol dire che ha già svolto il suo compito, ovvero ha assorbito le energie negative al posto nostro!
Noi continuiamo a regalarcelo in occasioni importanti o anche semplicemente per dimostrare affetto verso qualcuno attraverso un portafortuna, senza necessariamente spendere cifre eccessive: certo, un cornetto in corallo di dieci euro non sarà di corallo pregiato, ma il valore è dato da ciò che si sente e si vuole augurare a qualcuno che ha un posto importante nella nostra vita.